Qualcosa mi sta consumando, non so cosa e non so perché, ma so che finirà solo dopo le ultime, definitive parole di questa storia che il mio cervello continua a registrare senza che sia necessario alcuno sforzo cosciente, come il suo narrare che segue lo stesso principio, narrazione automatica con l'unico obiettivo di arrivare, in fondo, sul fondo. Heith e il tesoro erano lì, in quella grotta sperduta su un isola sperduta, ma non ci potevano essere né gioia né soddisfazione nel suo sguardo, nel mio sguardo che li abbracciava, perchè la bellezza folgorante di quella compagna di progetti folli aveva ceduto il passo, ora, a una maschera inquietante, macabra, dal profilo lugubre, indefinito e indefinibile, maschera di pelle impalpabile, polverosa, antica e inutile come il mondo rimasto fuori, lontano. Il tesoro, miraggio di ricchezza infinita, luce che oscura i pensieri, già solo sfiorato lasciava profonde ferite nella mente, segni vecchi e vecchie premonizioni di un futuro tanto migliore quanto acerbo, immobile come una tenebra, senza senso quanto una nuvola abbandonata nel cielo azzurro.
Un corpo piagato, il mio, quello di Barbanera, quello innocente e assassino di Heith, piegati dal desiderio di un'altra vita, della vita di altri, vissuta o raccontata, sofferta o immaginata, confusa tra le parole attese con il cuore in mano e una porta aperta sull'infinito di possibilità opportune, inopportune o qualsiasi.
Avanzai nella stanza, dentro la grotta, lungo l'isola e quando mi accorsi dell'errore, quando capii che lo sbaglio era mio eppure di tutti gli altri era già incredibilmente tardi, la mia vita non era più solo mia e non si distingueva più da quella stillata goccia via goccia da Barbanera, da quella riflessa di Heith e da tutte quelle storie che non avevano più bandolo, ma solo una matassa, inestricabile, di fili apparentemente recisi e dispersi nel vento.
Parole diventarono azioni, movimenti strisciarono verso sensazioni già pronte a sublimarsi in suggestioni sfuggenti. Follia si mescolò a ragioni dimenticate in un turbine di colori che dal buio di una stanza scura sfumavano in acque cristalline, in vento carezzevole, nel sepia di vecchie foto sbiadite per mezzo delle quali si confrontavano le stesse mani, giovani e rugose.
Allora uomo non desiderare, non volere mai le parole più della tua stessa presenza vitale, non cercare mai storie senza una chiarezza di spirito che ti imponga con violenza di discernere tra la verità e la finzione, tra ciò che appare e ciò vorrebbe apparire, tra una serena quotidiana miseria e giorni a venire colmi di rabbia impaziente di essere riempita, d'ingordigia senza vera fame, di necessità fantasma.
Questo pensammo quando tutto sembrò finire in un'allucinazione lucidissima che mescolava fili, storie, vite e subito dopo ci colse la luce di una mattina informe, priva di bussole o di punti cardinali e faticammo continuamente a ritrovare le briciole che, forse, avevamo lasciato dietro ai nostri passi e che ci avrebbero ricondotto al sentiero di una affatto spontanea normalità.
Non lo rividi né ascoltai mai più, così come lui non aveva mai più rivisto Heith, così come Heith, senza mai avermi visto, mi aveva segnato per sempre.
Segni sulla pelle, segni sulle spalle, segni per dimenticare e segni per ricordare storie pesanti da portare, storie pazienti da poter dormire decenni o secoli, storie da lasciar vivere, storie da morire.
Un corpo piagato, il mio, quello di Barbanera, quello innocente e assassino di Heith, piegati dal desiderio di un'altra vita, della vita di altri, vissuta o raccontata, sofferta o immaginata, confusa tra le parole attese con il cuore in mano e una porta aperta sull'infinito di possibilità opportune, inopportune o qualsiasi.
Avanzai nella stanza, dentro la grotta, lungo l'isola e quando mi accorsi dell'errore, quando capii che lo sbaglio era mio eppure di tutti gli altri era già incredibilmente tardi, la mia vita non era più solo mia e non si distingueva più da quella stillata goccia via goccia da Barbanera, da quella riflessa di Heith e da tutte quelle storie che non avevano più bandolo, ma solo una matassa, inestricabile, di fili apparentemente recisi e dispersi nel vento.
Parole diventarono azioni, movimenti strisciarono verso sensazioni già pronte a sublimarsi in suggestioni sfuggenti. Follia si mescolò a ragioni dimenticate in un turbine di colori che dal buio di una stanza scura sfumavano in acque cristalline, in vento carezzevole, nel sepia di vecchie foto sbiadite per mezzo delle quali si confrontavano le stesse mani, giovani e rugose.
Allora uomo non desiderare, non volere mai le parole più della tua stessa presenza vitale, non cercare mai storie senza una chiarezza di spirito che ti imponga con violenza di discernere tra la verità e la finzione, tra ciò che appare e ciò vorrebbe apparire, tra una serena quotidiana miseria e giorni a venire colmi di rabbia impaziente di essere riempita, d'ingordigia senza vera fame, di necessità fantasma.
Questo pensammo quando tutto sembrò finire in un'allucinazione lucidissima che mescolava fili, storie, vite e subito dopo ci colse la luce di una mattina informe, priva di bussole o di punti cardinali e faticammo continuamente a ritrovare le briciole che, forse, avevamo lasciato dietro ai nostri passi e che ci avrebbero ricondotto al sentiero di una affatto spontanea normalità.
Non lo rividi né ascoltai mai più, così come lui non aveva mai più rivisto Heith, così come Heith, senza mai avermi visto, mi aveva segnato per sempre.
Segni sulla pelle, segni sulle spalle, segni per dimenticare e segni per ricordare storie pesanti da portare, storie pazienti da poter dormire decenni o secoli, storie da lasciar vivere, storie da morire.
THE END